Due o tre cose sul Marketing che possiamo imparare da Temptation Island

antonio incorvaia
5 min readJul 6, 2020
Credits: ComingSoon.it

Così come non è Natale senza l’albero e il panettone e non è Pasqua senza l’uovo di cioccolato e la colomba, da qualche anno non è nemmeno estate senza Temptation Island e il suo soleggiato «viaggio nei sentimenti».
Una tradizione vacanziera che, alle prime scintille di canicola, riaccende puntualmente il falò di tutti i nostri pruriti galeotti trasformandoci, nell’arco di una stessa serata (e spesso di uno stesso errevuemme), da strenui difensori della fedeltà a strenui promotori della scappatella, da irreprensibili moralisti a smaliziati libertini e da romantici cupido a sanguinari divorzisti.

Perché in fondo, alla stregua di Matrimonio A Prima Vista, anche Temptation Island è una sorta di “esperimento sociale”. Condotto sulle coppie che partecipano, in parte (forse), ma soprattutto su noi telespettatori, che per ogni battito d’ali che si consuma all’Is Morus Relais scateniamo tsunami di commenti a macchia d’olio dove ad essere messi in discussione non sono tanto i valori dei protagonisti, quanto i nostri. Razionalmente inscalfibili quando riguardano l’amore e gli affetti, e mutevoli invece — senza che ce ne rendiamo conto — alla velocità di uno sguardo, di un drink o di un trenino a bordo vasca.
In termini tecnici, di un trigger. Di uno stimolo qualsiasi che, agli occhi di un marketer, innesca una reazione immediata andando a toccare le corde emotive alle quali siamo più sensibili. In termini tecnici, i nostri insight.

In questo, agli occhi di un marketer, Temptation Island mette in scena un tale compendio di trigger e insight che etichettarlo come “tv spazzatura (o, peggio, snobbarlo del tutto) sarebbe un’avventata ingenuità. Tanto più quando il nostro target di acquisto e/o di comunicazione sono le famiglie, che tonnellate di strategie commerciali — sotto forma di confettate buyer personas — continuano a raccontare come un pubblico perfettamente armonico (lui, lei, sposati, due bambini, un cagnolino, il gatto no che è da single, troppi impegni di lavoro ma mille buoni propositi di passare più tempo insieme affidati al junk food, al forno, alla lavatrice, al ferro da stiro, allo spazzolone, al detergente o all’utility di turno e comunque, all’abbisogna, a quattro nonni settantenni con smartphone “di ultima generazione”), ma che sempre di più, al contrario, sfugge a logiche lineari di relazione e di comportamento.
E che Temptation Island disvela, indipendentemente dal fatto che sia reale o realistico ciò che vediamo, nella loro autentica contemporaneità. In cui si intrecciano non solo «baci e tradimenti, lacrimoni e pentimenti» (cit.), ma anche figli nati da rapporti e matrimoni occasionali, gap anagrafici ed economici, retaggi culturali, parenti serpenti, prove tecniche di convivenza e una fenomenologia enciclopedica di patologie di coppia che muovono il mondo ma che non troviamo mai enumerate in nessun Power Point.
Proviamo ad analizzarne qualcuna.

Credits: Leggo.it

1. Lei balla sola.

È un grande classico: errevuemme in cui il fidanzato di turno, al primo sorso di mojito, inizia a fare zumba con una tentatrice a caso e fidanzata di turno che commenta sprezzante «Ma guardalo! Con me non ha mai ballato…».
Da cui, un importante insegnamento per i marketer: l’occasione fa sempre l’uomo ladro.
E se le réclame, i banner in giro per l’internèt, i post su Facebook e le Instagram Stories degli influencer sono costellati di call to action che rimangono tragicamente ignorate la ragione è molto semplice: non forniscono alcun motivo — in termini tecnici, la reason whyagli uomini per diventare ladri. Perché mai un uomo dovrebbe rinunciare al Fantacalcio o alla gara di rutti con gli amici del baretto per fare un bucato, per rassettare la casa o per preparare un’anatra all’arancia? Cosa ci guadagna esattamente? Non è dato saperlo.
Immaginare (o pretendere) che le persone cambino le loro abitudini al primo sorso di “Clicca qui!”, “Leggi di più!” e “Scopri l’offerta!” non è necessariamente sbagliato, insomma, ma a patto che sull’altro piatto della bilancia ci sia quantomeno una tentazione a caso.

2. Maschi alfa, beta, praticamente omega.

Anche questo è un grande classico: errevuemme in cui la fidanzata di turno appoggia (quasi sempre per disperazione) la testa sulla spalla di un tentatore e fidanzato di turno che, cinque secondi dopo, è fuori dal pinnettu a demolire istericamente sedie e arredi che nemmeno Ozzy Osbourne in hangover.
È una reazione che ci aspetteremmo da un maschio alfa, come ognuno dei partecipanti ci tiene a presentare se stesso sin dal videomessaggio iniziale? Decisamente no. E non è questione di essere gelosi; è questione di non avere quelle capacità di analisi, di autocontrollo e di resilienza che, invece, da un maschio alfa sarebbe lecito aspettarsi.
Da cui, un importante insegnamento per i marketer: continuare ad associare il concetto di “maschio alfa” a pettorali e testosterone è una scoria pubblicitaria che genera più mostri del sonno della ragione.
Il maschio alfa (e omega) del nuovo millennio è un individuo che investe molte più risorse — mentali, economiche e sociali — a reprimere le proprie debolezze che a sviluppare le proprie qualità. È il maschio di Men’s Health, che si scolpisce sui dorsali un’aquila a grandezza naturale non per manifestare libertà e visione ma per mascherare fragilità e paura (vuoi mettere cosa direbbe la gente a vedergli sfasciare una sedia con il tatuaggio di Titti?).
Forse, quindi, può essere più profittevole provare a spostare il focus di indagine su queste ultime, ancora largamente inesplorate, e posizionare i nostri lanternini di vendita nelle zone d’ombra reale anziché in quelle di luce immaginaria.

3. Ricatti da legare.

Infine, un ultimo twist: tra tutti i fidanzati serpeggia sempre, più o meno espressamente “contrattualizzato”, un ricatto morale. Che, per quanto possa suonare cinico, è un collante perfino più forte delle migliori intenzioni.
Da cui, un importante insegnamento per i marketer: non esistono solo le coppie che stanno insieme, esistono anche quelle che si tengono per i capelli.
A prescindere dall’affinità e dalla passione, che diamo comunque per sottintese, ci sono situazioni in cui — in generale — la voglia di “condividere qualcosa” non è dettata dalla costruzione di un obiettivo comune bensì dall’accettazione (tacita o formalizzata) di un’esigenza personale.
Ne deriva che, quando ciò accade, promuovere la famiglia come un’entità unitaria e organica prefigura percettivamente l’alterazione di un equilibrio risultando, per assurdo, peggiorativa rispetto allo status quo. E immaginare (o pretendere) che una decisione trovi sempre un ideale accordo reciproco rischia di allontanare indefinitamente il momento della scelta.
Meglio allora avere sempre ben chiaro, anche per prodotti e servizi destinati a “tutta la famiglia”, che il target di comunicazione non è mai meccanicamente “tutta la famiglia” ma solo e soltanto chi, attraverso quei prodotti e quei servizi, può consolidare un potere che rafforza l’equilibrio implicito della coppia.

Dopodiché, sappiamo bene che il Marketing non è una scienza esatta e che Temptation Island non è un Rapporto Istat. Ma nemmeno il mercato è una cartolina statica e, se possiamo interpretarne a nostro vantaggio i cambiamenti attraverso Temptation Island oltre ai Rapporti Istat, ben venga la “tv spazzatura”.
In fondo, come diceva qualcuno, «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».

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antonio incorvaia

Creative strategist, digital coach, autore e qualcos’altro (auspicabilmente) ancora da provare.