Due o tre cose sullo Storytelling che possiamo imparare da Matrimonio A Prima Vista

antonio incorvaia
4 min readOct 5, 2019
Credits: ComingSoon.it

Al netto di qualsiasi giudizio etico o morale si voglia dare all’idea di ritrovarsi all’altare con un perfetto sconosciuto, non si può non riconoscere che — all’alba dell’anno 2020 e con tutte le evoluzioni che i temi sulla (sacra?) Famiglia stanno attraversando su scala globale — un format televisivo che esaspera il concetto di “appuntamento al buio” e gli concede addirittura la cittadinanza nuziale non sia quantomeno un interessante laboratorio narrativo. Perché come tale, senza troppo benpensare, andrebbe preso: Matrimonio A Prima Vista non è certo l’“esperimento sociale” che dice di essere (non ne ha i requisiti statistici né gli obiettivi scientifici), ma è piuttosto un accurato compendio di cosa significhi oggi «fare Storytelling». Dal quale chiunque lavori in Comunicazione, Marketing, Branding e affini può trarre, pertanto, qualche utile spunto di costruzione del racconto con cui farcire la sua prossima strategia, il suo prossimo pitch o, più semplicemente, il suo prossimo rework del piano editoriale.

Facciamo tre esempi:

  1. L’ALFA E L’OMEGA DEL DATA DRIVEN
Credits: NotiziaOggi.it

Una delle critiche più ricorrenti all’indirizzo di Matrimonio A Prima Vista riguarda la scelta stessa delle coppie, che segnerebbe, risultati alla mano, il fallimento del sedicente Cupido data driven manovrato dal team di altrettanto sedicenti “esperti”. La qual cosa sarebbe certo corretta se l’algoritmo — o presunto tale — mirasse a sfornare piccioncini in amore che tubano per un mese davanti alle telecamere e altrove per il resto della loro vita. Ma l’algoritmo, che in quel caso rischierebbe solo di far percepire il format come un’idilliaca e soporifera fiction, mira invece a sfornare N puntate di drama che tengano per un mese davanti allo schermo e sui social per il resto della loro vita quanti più spettatori possibili. E, in questo, il Cupido data driven è tanto preciso quanto lungimirante, arrivando a prevedere quali situazioni di conflitto potranno innescarsi (e puntualmente si innescano) al variare di quali condizioni al contorno.
Un perfetto esempio di come i cervelloni elettronici su cui depositiamo ogni giorno tonnellate di dati sensibili non siano affatti interessati a profilarci per conoscere la nostra storia presente, come spesso temiamo, ma piuttosto per scrivere la nostra storia futura.

2. GENERAZIONE TINDER

Credits: VanityFair.it (Courtesy Press Office)

Un’altra ingenuità che si tende a commettere nel giudicare — soprattutto negativamente — Matrimonio A Prima Vista è che si tratti del racconto di due personaggi identificati come “marito” e “moglie”. No: Matrimonio A Prima Vista è il racconto di due utenti di Tinder al loro primo incontro. Che, idealizzando l’oggetto del desiderio e amplificandone le aspettative (come avviene di norma in qualsiasi app di dating quando uno scambio di messaggi va oltre il terzo minuto), non sono più capaci di costruire una relazione laddove scoprissero, dopo tre secondi o trenta giorni, di trovarsi davanti a qualcuno che non corrisponde al 101% alle loro idealizzazioni e alle loro aspettative. In fondo, nel mondo reale, la letteratura trabocca di coniugi che vanno d’amore e d’accordo anche senza corrispondere affatto ai propri canoni estetici o dopo essersi inizialmente odiati. Su Tinder — e in Matrimonio A Prima Vista — questo non succede: è talmente più semplice lasciar perdere e tentare nuovamente la sorte che scambiarsi quattro parole per provare a conoscersi che non c’è mai verso di salvare il salvabile. Tant’è che il volume degli «Sparito?» è secondo solo a quello dei «Ciao».
E il problema è che questo genere di approccio si sta ormai diffondendo a macchia d’olio a qualsiasi accezione di “rapporto” (nonché di “consumo”) e dovremmo tutti farcene una ragione. Non sei esattamente ciò che credevo tu fossi? Swipe left e thank u, next.

3. IN PRINCIPIO FU LA FINE

Credits: TVDaily.it

L’elemento che più di tutti, però, rende unico e peculiare lo Storytelling del format è il doppio ribaltamento che porta il matrimonio a diventare — da coronamento di un sogno — l’inizio di un incubo. Il che non fa che annullare a priori la possibilità che esista un happy ending: Matrimonio A Prima Vista non può finire bene per definizione (logica, prima ancora che narrativa), nemmeno nella remotissima ipotesi che i due sposi rimangano insieme, perché quello è esattamente il modo con cui comincia. E se dopo N puntate di drama tutto si risolve in una conferma dello status quo ante, l’impressione è che anziché un’evoluzione ci sia stata una regressione.
Da cui, un’ultima considerazione: è ancora così valida la regola secondo cui lo Storytelling deve prevedere sempre e necessariamente una trasformazione migliorativa? O, al mutare degli scenari sociali, forse si possono scrivere storie che veicolano messaggi ancora più forti e ancora più chiari semplicemente avvitandosi su stesse in un loop di conflitti in cui l’unica via di uscita per andare avanti è tornare indietro?

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antonio incorvaia

Creative strategist, digital coach, autore e qualcos’altro (auspicabilmente) ancora da provare.