Stimoli, stipendio e leadership: così gli studenti riscrivono il mondo del Lavoro (e dell’Employer Branding)

antonio incorvaia
4 min readJul 1, 2020

In principio era «Cosa vuoi fare da grande?».
Poi, col tempo, la prospettiva si è stabilizzata su «Dove ti vedi tra cinque anni?» e oggi, alla luce delle mutazioni di sistema che stanno interessando il settore HR in funzione delle evoluzioni di mercato, la visione di futuro che è diventato più strategico indagare si è ulteriormente circoscritta a «In quale azienda saresti interessato ad andare?».
Questo progressivo zoom-in, calibrato all’origine sulla crescente fluidità di percorsi e titoli professionali e amplificato dall’approccio sempre più selettivo che viene riservato a offerte e luoghi di lavoro, consente di valutare non tanto la proiezione di un candidato in un (ideale? ipotetico? immaginario?) punto spazio-temporale della sua carriera, ma — informazione ben più rilevante in un contesto competitivo — la relazione pregressa che si è instaurata, a livello percettivo e aspirazionale, tra lui e un brand.
E che acquista un valore ancora più rilevante se il candidato in oggetto è uno studente.

Primo, perché con ogni probabilità quella relazione sarà condizionata da un’esperienza diretta di consumo o dalla pubblicità. Dunque, più da attività di marketing in senso lato che di recruiting in senso stretto.
Secondo, perché l’aspettativa di estendere quella relazione dalla sfera personale alla sfera professionale chiama inevitabilmente in causa un “terzo incomodo”: la Scuola. Su cui grava la responsabilità, legittima e inderogabile, non solo della didattica ma anche del placement (tema pressoché estraneo alla maggior parte dei nostri istituti, sia pubblici sia privati).
Terzo, infine, perché qualsiasi eventuale frustrazione di questa estensione — anche la più banale e di routine, da un CV senza risposta a un «Le faremo sapere» sospeso nel vuoto — produrrà un butterfly effect reputazionale e commerciale potenzialmente distruttivo, considerata l’attitudine che Generazione Z e Millennials nutrono verso il passaparola negativo e il boicottaggio di circostanza.

Ecco, quindi, che la classifica dei Most Attractive Employers in Italia 2020 pubblicata da Universum sulla base delle indicazioni di oltre 36.000 studenti iscritti a 48 diverse Università assume (soprattutto in questo particolare momento storico) un’importanza sostanziale per chi si occupa tanto di Risorse Umane quanto di Marketing e di Istruzione.
Se analizziamo le prime 10 aziende ritenute più attrattive per ciascuna area di pertinenza, ovvero

Credits: Universum Italia

possiamo trarre infatti una serie di insight di posizionamento molto utili (e in parte sorprendenti) per attività e progetti di Employer Branding e Formazione rivolti ai target dei neodiplomati e dei neolaureati.
Per esempio:

  • Apple e Google sono le uniche due aziende a comparire in tutti e cinque i ranking, incluso quello di Medicina, a riprova di quanto il loro duopolio tecnologico permei ormai ogni ambito del nostro percepito, anche i meno mainstream e intuitivi;
  • A questo proposito, awareness e leadership di settore tendono a generare contaminazioni cross-disciplinari anche al di fuori di una specifica industry di appartenenza. Un caso su tutti: quello di Ferrero, al settimo posto nella graduatoria di STEM e al decimo in quello di Medicina;
  • Gli studenti umanistici si stanno finalmente emancipando dal preconcetto che «Con una laurea del genere puoi solo insegnare» e stanno prendendo coscienza della ricettività che categorie come la Moda, le Telecomunicazioni o il Turismo offrono loro, specialmente per posizioni legate alla produzione di contenuti;
  • Il caro-vecchio Made in Italy, che popola le Value Proposition di migliaia di imprese nostrane, inizia a segnare (definitivamente?) il passo rispetto alla globalizzazione multinazionale e a non essere più così appealing in ottica di occupazione come lo è in ottica di vendita. E se allarghiamo la scala di analisi alle Top100 anziché alle Top10, il dato diventa ancora più consistente.

Da ultimo, è interessante notare come i fattori di incidenza sulla scelta di un’azienda rispetto a un’altra stiano cambiando radicalmente (fatto salvo l’aspetto del “lavoro stimolante”, al primo posto per entrambi i cluster) nel passaggio da Millennials a Generazione Z:

Credits: Universum Italia

Se i Millennials a un brand chiedono training, sviluppo e un ambiente creativo e dinamico, i loro successori chiedono stipendi elevati — al solito, purtroppo, più elevati tra gli uomini (1.847 euro) rispetto alle donne (1.596 euro) — e scalate sociali.
Un’ambizione per molti versi positiva, in uscita da un ventennio in cui i giovani sono stati spesso etichettati come “mammoni mantenuti che si accontentavano del minimo sforzo”, ma estremamente delicata da gestire (sotto tutti i punti di vista) rispetto alle molteplici, e non sempre prevedibili o controllabili, concomitanze esterne che possono frapporsi tra obiettivo e risultato.

Spetterà agli HR, ai Marketer e alle Scuole (dunque all’Employer Branding) farsi carico di capitalizzarla nel modo migliore e più proficuo per tutti.

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antonio incorvaia

Creative strategist, digital coach, autore e qualcos’altro (auspicabilmente) ancora da provare.